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Dai test per la Fed al Tesoro italiano: la Signora dell’educazione finanziaria si racconta Tre domande sul risparmio

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L’ Italia è il regno dei rimandati a settembre in economia? Sì, è vero. Ma Annamaria Lusardi, la Signora dell’alfabetizzazione finanziaria, è italiana. Anche se vi sentite parte del consesso che non ne sa abbastanza di tassi e rischi, potete spiazzare qualsiasi interlocutore troppo saccente. Basterà sottolineare l’ennesimo paradosso tricolore: siamo ancora (ma è in arrivo un piano nazionale coordinato da Lusardi per migliorare le cose) in fondo alle classifiche che misurano le nozioni di base dei privati cittadini in campo economico. Eppure la professoressa della George Washington University, che ha dato un contribuito fondamentale per creare una disciplina che non c’era, è nata proprio nel Paese di santi, navigatori e poeti affetti da una storica insufficienza di cultura finanziaria. Abbiamo per molto tempo risparmiato senza bisogno di sapere granché, contando quasi esclusivamente su Bot e Btp. Poi è arrivata la grande crisi, i rendimenti sono precipitati, le pensioni sono da integrare. E le nuove regole europee sui fallimenti bancari impongono un senso di responsabilità e di consapevolezza dei singoli più ampio che in passato: le peripezie dei risparmiatori finiti in mezzo ai salvataggi degli sportelli in difficoltà sono ancora fresche nella memoria e nei portafogli. In ogni caso Lusardi non ha dubbi sulle risorse dell’italianità, capace di superare qualunque sfida: «Quando c’è un problema da risolvere penso sempre che ci vorrebbe un imprenditore romagnolo», dice con la sua voce allegra.


Il progetto

Un ottimismo che impareremo a conoscere perché dopo aver aiutato l’Ocse e Barack Obama a misurare quanto ne sappiano di soldi i cittadini di mezzo mondo, Lusardi ha finalmente ricevuto una chiamata da casa. Quest’estate il ministro Pier Carlo Padoan l’ha nominata a capo del neonato Comitato per l’educazione finanziaria, un organismo dove siedono i rappresentanti di quattro ministeri (compreso quello «chiave» dell’Istruzione ora guidato da Valeria Fedeli), ma anche dalle autorità regolatrici del mercato (da Banca d’Italia a Consob, da Ivass a Covip), dei consulenti e dei consumatori. Dieci persone (più Lusardi) che proveranno a redigere un progetto organico, sfruttando i dati raccolti in questi anni e raccordando le iniziative frammentate censite fino ad ora: «Ne sono state fatte tante, ma spesso senza raggiungere un numero di persone adeguato alla sforzo», dice. In prospettiva l’educazione finanziaria busserà alle porte delle scuole. Ma non solo. «La prossima riunione del Comitato è all’inizio di ottobre. Parleremo di una campagna di informazione e del portale online, che vorremmo realizzare al più presto. Un luogo dove tutti possano trovare indicazioni utili alle problematiche quotidiane e di lungo termine», spiega. Perché chiunque, dalle casalinghe ai professionisti, ha bisogno di avere un’idea corretta di come lavora il denaro. «Ignorarlo – dice Lusardi – nel secolo interconnesso dei mercati globali ci espone al pericolo di rimanere cittadini fragili». Non basta più saper leggere, scrivere e far di conto: l’abc finanziario — dice la professoressa — è il nuovo minimo sindacale per cui battersi. «Se devo dire da dove è cominciato tutto, penso al mercato nella piazza del paese vicino a Piacenza dove sono nata. Ci andavo con mio padre a comprare la frutta e i fermagli per i capelli. Mi piaceva guardare gli scambi, le persone che si davano la mano, che valutavano la merce», racconta. Anni dopo prende un treno per andare all’Università Bocconi, «un viaggio molto più lungo di quello che poi mi ha portato da Milano negli Stati Uniti», confessa. Si laurea con Mario Monti nel 1986 con una tesi di politica monetaria e vola a Princeton per il dottorato dove verrà seguita da Angus Deaton, premio Nobel per l’economia nel 2015. «Mi ha insegnato ad accettare la sfida di rendere semplice qualunque argomento, anche il più complesso».


La materia nuova

Nel 1992 approda al Dartmouth College dove comincia a pubblicare i primi studi, «lontano dalla città, immersa nei freddi inverni del New Hampshire». La svolta arriva più avanti, negli anni Duemila. Lei e Olivia Mitchell della Wharton School, grande esperta di pensioni, riescono ad inserire in un questionario istituzionale a tema previdenziale, quelle che oggi vengono chiamate big three, le tre domande di base per misurare il sapere finanziario. «Semplificarle al massimo ci costò un lungo lavoro», dice. Adesso vengono utilizzate dalla Federal Reserve, la Banca centrale Usa (e da altri 15 Paesi del mondo) per misurare il polso dell’alfabetizzazione finanziaria su tassi, inflazione, rischio. Poi molte altre ne sono venute. «Abbiamo indagato in un campo sconosciuto — racconta —. Scoprendo che molte persone, anche dopo i cinquant’anni e decine di operazioni finanziarie, non avevano idea di come funzionasse il costo del denaro e la corsa dei prezzi». I risultati, per certi versi sorprendenti, permettono di costruire la base statistica che fonda la disciplina. «Siamo riuscite a dimostrare che l’alfabetizzazione finanziaria non si può dare per scontata e che, quando manca, ci sono delle conseguenze negative per la società». La disastrosa crisi del 2008 accende un faro sul lavoro di Lusardi e del suo team. Nel 2009 arriva la chiamata del Tesoro americano e inizia la collaborazione con l’Ocse per testare la preparazione degli studenti delle scuole superiori in decine di paesi. Nel 2011 nasce il GFLEC, il Global Financial Literacy Excellence Center di cui è fondatrice e direttrice. «Ad oggi — spiega — ci sono 65 Paesi che hanno approntato una strategia nazionale per l’educazione finanziaria». Ognuno ha le sue lacune peculiari, «ma le cose che funzionano per migliorare la situazione a tutte le latitudini sono molto simili». Alcuni Paesi anglosassoni sono già al terzo stadio del piano nazionale. Spagna, Portogallo e Francia sono più indietro. Tra le esperienze virtuose cita il Canada che ha addirittura un leader nazionale di alfabetizzazione finanziaria. E l’Italia? «Abbiamo di fronte una situazione difficile. Ma partire dopo gli altri offre il vantaggio di sfruttare le esperienze già fatte. E c’è il ministero dell’Istruzione in prima linea: molti altri Paesi, Stati Uniti compresi, non hanno fatto questa scelta». Ma allora debutterete subito nei programmi scolastici? «Per adesso non possiamo fare iniziative nell’orario ufficiale, ma ci sono spazi extracurriculari dove possiamo muoverci. E cercheremo di sfruttarli al massimo».

Articolo aggiornato il 04 giugno 2019