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L'aspettativa di vita aumenta e il sistema pensionistico traballa, così i giovani sono chiamati a fare scelte finanziarie sempre più importanti. Eppure, secondo uno studio Usa condotto da due italiane, i millennials della Penisola ne sanno meno dei coetanei europei e il divario conoscitivo tra maschi e femmine è sensibile. Ne abbiamo parlato con Noemi Oggero, ricercatrice che ha lavorato allo studio della George Washington University, e con Elisabetta Ruspini, responsabile degli Studi di genere per l'Associazione sociologi italiani.
In Italia la finanza non è roba da donne, eppure dovrebbe esserlo. Secondo uno studio pubblicato dalla George Washington University negli Usa (e firmato da due italiane: Annamaria Lusardi e Noemi Oggero), meno della metà dei millennials del Belpaese si può considerare alfabetizzato dal punto di vista finanziario. Un dato negativo, considerando che nei Paesi del G7 la percentuale di giovani che sanno rispondere a domande di finanza arriva a quota 56%. Ma a colpire di più e il divario conoscitivo tra ragazzi e ragazze: stando agli ultimi risultati del Pisa, il Programma internazionale Ocse per la valutazione degli studenti (che ha interpellato chi nel 2015 aveva 15 anni), il nostro è l’unico Paese dove i maschi ottengono in media punteggi superiori alle colleghe femmine, quando si tratta di finanza. Uno scarto che persiste anche nell’età adulta: con il 45% di uomini alfabetizzati finanziariamente contro solo il 30% delle donne, l’Italia si aggiudica la maglia nera del gender gap in materia di conoscenze finanziarie tra i Paesi membri del G20.
Le conseguenze dell’analfabetismo finanziario
Il lavoro svolto dalle studiose italiane mette a confronto due tipi di ricerca. Oltre ai risultati Pisa, considera anche i dati raccolti da Standard & Poor’s con un sondaggio mondiale del 2014 che intende per "millennials" chi allora aveva un'età compresa tra i 15 e i 35 anni. «In questo caso ha superato il test chi ha dato risposte corrette ad almeno 3 domande su 4 riguardo a concetti finanziari di base: il tasso di interesse semplice, quello composto, l’inflazione e la diversificazione del rischio», spiega Noemi Oggero, una delle autrici dello studio, anche lei appartenente alla "generazione Y".
In un Paese dove l’aspettativa di vita cresce e il sistema pensionistico è in crisi, i giovani sono chiamati a prender decisioni con conseguenze a lungo termine. Per questo «l’ignoranza finanziaria ha dei costi non indifferenti», continua Oggero: «Chi non sa cosa sia l’interesse composto e non sa che gli interessi maturati generano altri interessi, di solito spende di più, è più incline a sottoscrivere prestiti con tassi d’interesse elevati e rischia di più di incorrere in debiti». Tra gli studenti, poi, chi risulta più preparato sulle questioni di carattere finanziario ha anche maggiori probabilità di intraprendere un percorso universitario e aspirare a un posto di lavoro altamente qualificato (e meglio retribuito) attorno ai 30 anni.
Cosa influisce sulla financial literacy dei giovani
Gesti apparentemente semplici, come confrontarsi coi genitori su questioni di carattere economico-finanziario, avere accesso a un conto in banca o poter utilizzare una carta prepagata incidono sulla formazione e sulle abitudini dei più giovani. Anche in questo caso, però, dallo studio di Lusardi e Oggero emerge un dettaglio non rassicurante: «Gli studenti maschi hanno più probabilità rispetto a una coetanea femmina di poter maneggiare una prepagata», ammette la ricercatrice.
Finanza e questioni di genere
Che ci siano sfide economico-finanziarie tipicamente femminili è fuor di dubbio per Oggero: «Le donne hanno un’aspettativa di vita maggiore rispetto agli uomini, ma il loro reddito mediamente è inferiore. E devono affrontare interruzioni della carriera legate alla maternità o alla cura di familiari», sottolinea.
Concorda Elisabetta Ruspini, professoressa dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e responsabile degli studi di genere per l’Associazione sociologi italiani. «Il problema è che quando si parla di donne e denaro si tende a proteggere, non a educare. Le figlie femmine di solito hanno a disposizione una paghetta ridotta rispetto a quella dei fratelli e vengono messe in guardia maggiormente sui pericoli del denaro», commenta la professoressa. «Questo mentre è chiaro che la povertà colpisce donne e uomini in maniera diversa», prosegue Ruspini: «Oggi ci sono moltissime donne anziane e sole, in difficoltà proprio perché spesso possono contare solo sulla pensione di reversibilità del marito. Continuare ad accettare che alle donne si dica di non lavorare perché devono fare figli, impatta sul potere femminile», puntualizza l’esperta. Poi incalza: «Millennials o no, se non sai gestire il denaro fatichi a entrare nel mercato del lavoro. E ti si precludono possibilità imprenditoriali. Peraltro in qualsiasi famiglia chi non porta a casa uno stipendio non ha voce in capitolo sulle scelte comuni», chiosa.
"La 'violenza economica’ ci mortifica nella libertà di spendere soldi:
Sei la mia donna, quindi compri e indossi quello che dico io"
C’è di più: secondo la professoressa, le possibilità economico-finanziarie di una donna possono essere messe in relazione anche al rischio di subire violenza. «Esiste un tipo di violenza che viene definita proprio ‘violenza economica’: quando una persona, più frequentemente una donna, viene mortificata nella sua libertà di spender soldi. Frasi come “Sei la mia donna, allora compri quello che dico io, indossi il vestito che piace a me”, ne sono un esempio», racconta Ruspini. Le problematiche sono tante e si riscontrano anche all’interno delle Università italiane, dove «le persone che si occupano di sociologia del denaro si possono contare sulle dita di una mano, purtroppo. E se non vengono erogati corsi sul tema, poi gli studenti non ne sanno nulla», mette in guardia la docente.
Problemi delicati e possibili soluzioni
Tra tante criticità, spunta anche qualche possibilità di migliorare la situazione. «Nella società moderna la conoscenza finanziaria è fondamentale, per questo dovrebbe essere accessibile a tutti. Se n’è accorto anche il Governo Gentiloni, che lo scorso anno ha istituito il Comitato per l’educazione finanziaria con il compito di elaborare una strategia nazionale di alfabetizzazione finanziaria. A capo della squadra c’è una donna, la professoressa Lusardi, direttrice del centro di ricerca con cui ho lavorato a Washington: mi sembra un buon segno», fa notare Oggero.
Ruspini, dal canto suo, riconosce che non si può pensare che tutte le differenze di genere dipendano da questioni finanziarie. «Peraltro, anche grazie alla diffusione di internet e delle nuove tecnologie la disparità di genere tra uomini e donne si sta riducendo: ho molta fiducia nelle nuove generazioni», dichiara. Poi aggiunge un ultimo ammonimento: «Educare al denaro non significa spingere le persone a diventare grandi manager di Borsa. Basterebbe cominciare a diffondere l’idea che la donna non si occupa solo di distribuire tra i figli i soldi del partner. Una donna può fare di più, può generare denaro con il suo lavoro e poi usarlo per se stessa oltre che per i familiari. Per questo l’educazione al denaro va iniziata da bambini: se si comincia a parlarne a 20 anni, quando si arriva all’università, è troppo tardi», conclude.